Il mimetico per non mimetizzarsi, l'uniforme per non uniformarsi. L'uomo Valentino sfila alla Limonaia del giardino di Boboli, scegliendo per la seconda volta la kermesse di Pitti, e si distingue, come è giusto che sia.
Quando si sono sentiti pronti, dopo aver lavorato assai bene sulle collezioni femminili, hanno deciso che fosse ora di tornare in passerella anche con l'uomo Valentino. E già lo scorso gennaio hanno scelto il Pitti: "non Milano dell'industria, non Parigi che a tutti i costi vuol essere cool, ma Firenze perché è credibile come città di cultura umanistica, più personale".
La collezione invernale di gennaio, un lavoro sulla tradizione "ha avuto - spiegano i due creativi - un ottimo riscontro, comprata anche dai negozi più di tendenza e ricerca, perché la cosa più innovativa oggi è far pace con il passato". Ecco che con queste premesse, la sfilata scorre come una tesi di laurea in eleganza maschile moderna, ben spiegata.
Se per la donna Valentino si parla di couture, in parallelo per il suo uomo si fa riferimento alla sartorialità: linee semplici, esecuzione complessa, mania dei dettagli, nuove lavorazioni e tutti gli archetipi del guardaroba maschile. C'é l'idea della divisa, dell'uniforme militare che diventa però un mezzo per distinguersi e mai per omologarsi. Perché Maria Grazia e Pier Paolo hanno l'ossessione dei pezzi iconici, ovvero dei capi che sono riconoscibili ma che possono essere interpretati in modo personale, come la sahariana in nylon, cotone e raso opaco, come la giacca da smoking color verde militare e revers di raso nero.
Tutto ciò che è divisa, in senso sportivo, militare o giovanile come il denim, diventa sartoriale, dai calzoni in tela effetto jeans ai pantaloni chino e ai giubbotti di pelle, rete e tela. Tutto ciò che uniforma il vestire maschile diventa invece un capo feticcio, un'icona firmata Valentino.
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